Si è chiusa domenica Queering Roma la kermesse di proiezioni di film a tematica omosessuale organizzata dall'associazione Armilla, con il sostegno della Provincia di Roma, Assessorato alla cultura, che ha portato al cinema Nuovo Aquila al Pigneto alcuni film dell'appena conclusosi festival GLBT di Torino da Sodoma a Hollywood.
Alla presentazione della festa, come è stata definita dal suo creatore Massimo Iacobelli, l'Assessore alle politiche culturali della Provincia di Roma Cecilia D'Elia raccontava di aver chiesto, provocatoriamente, se manifestazioni come questa servano ancora. LA risposta è positiva naturalmente. Queering Roma ha sottolineato innanzi tutto che la Città ha voglia e bisogno di manifestazioni del genere. Il pubblico si è equamente diviso tra le due sale (dove la programmazione è stata spartita, chissà perchè, tra film lesbici e film gay, mentre quelli trans andavano bene per entrambe le sale...) venendo numeroso, soprattutto a quelle della programmazione al femminile, dove si è registrato spesso il tutto esaurito.
Un successo rimarchevole visti anche i canali di promozione non proprio canonici, internet e il passa parola oltre alla rete glbtqi della città (assenti affissioni e pubblicità sui quotidiani o tv dati i costi proibitivi). Un "primo" esperimento riuscito dunque, dopo tanti, troppi anni di silenzio e di assenza di una rassegna di film a tematica omosessuale nella Capitale, proiettati in un cinema, in versione originale, con i sottotitoli (anche se Armilla negli anni scorsi aveva già organizzato delle proiezioni estive al Gay Village...).
Un successo cui bisogna dare atto ad Armilla nonostante i film di questa prima edizione, scelti tra i tanti presentati al festival gay di Torino da Gianni Minerba e Fabio Bo, si sono rivelati molto modesti, proponendo le solite storie di personaggi gay che muoiono ammazzati (Children of God Bahamas, 2009 di Kareem Mortimer), si prostituiscono (J’ai rêvé sous l’eau Francia, 2008 di Hormoz), o che, in quanto gay, si travestono (Mary Lou una mini-serie per la tv israeliana diretta da Eytan Fox). Film dove l'eterna problematica è come dirlo a mamma (Chin-gu-sa-ee?, Corea del Sud, 2009 di Gwang-soo Kim-Jho) come consolarsi con un altro mentre l'amico di cui siamo innamorati non vuole venire a letto con noi (Piedras Argentina, 2009, di Matias Mormorato) film girati con tutte le buone intenzioni che continuano però a confondere il sesso con l'amore... Anche film di maggiore spessore come Einaym Pkuhot (Israele/Germania/Francia, 2009, di Haim Tabakman) che racconta di un amore tra due ragazzi nella Gerusalemme ultraortodossa si conclude con la morte (qui volontaria) del protagonista.
Insomma i gay, sembrano dirci questi film, soffrono, fanno sesso (ma non possono amare) e spesso muoiono... Brockeback Mountain docet.
Insomma questi film sembrano dimostrebbe che, da un punto di vista strettamente cinematografico, forse la formula del festival a tematica omosessuale va rivista perchè così com'è rischia di individuare film inclini sempre allo stesso tipo di narrazione, che indulge troppo sul sesso, che presenta personaggi e situazioni piene di cliché (poco importa se sono cliché nei quali parte del movimento glbtqi crede di riconoscersi). Tanti gli esempi presenti in rassegna anche tra i cortometraggi:
Delphinium: A Childhood Portrait of Derek Jarman (USA/Gran Bretagna, 2009) di Matthew Mishory, ennesimo omaggio a Derek Jarman, tutto sbilanciato nella seduzione masturbatoria del corpo maschile; Professor Godoy (Brasile, 2009) Gui Ashcar, interessante nella regia ma che racconta della seduzione erotica, e non sentimentale, tra uno studente 17enne e il suo pingue professore di matematica... Davanti all'ennesimo ragazzo che si spoglia timido ed eccitato di fronte al suo innamorato ci si chiede se non esista un altro modo per raccontare storie omosessuali...
Qualche rara eccezione c'è Ang laro ng buhay ni Juan (Filippine, 2009) di Joselito Altarejos, racconta con un occhio quasi documentaristico del giovane filippino Juan che tenta di lasciare Manila per tornare a casa senza riuscirci, un film dove l'elemento narrativo è la povertà, la violenza della polizia, la scarsità del lavoro, ben al di là e oltre l'orientamento sessuale del giovane protagonista a dimostrare che quando si valicano le anguste frontiere del film " atematica" i film hanno un respiro più vasto.
Sul versante dei documentari quelli lesbici si sono dimostrati più lucidi e centrati di quelli gay e trans. Toccante Ti sposo entro l’anno (Italia, 2010) di Cristi Amione che fa del racconto di Antonella e Deborah, due donne torinesi sposate simbolicamente dal sindaco della città, una testimonianza di vita e una riflessione politica sull'impegno di ognuno di noi; ben fatto Verliebt, Verzopft, Arwegen (Austria, 2009) di Katharina Lampert e Cordula Thym sulla Vienna Lesbica degli anni 60 con splendide interviste alle donne di allora mentre più modesto si è rivelato il canadese Cure For Love (Canada, 2008) di Francine Pelletier e Christina Willings presentato come una inchiesta sul movimento evangelico Exodus Alliance (una delle ahinoi tante organizzazioni che vorrebbero riconvertire i gay e le lesbiche all’eterosessualità) che si limita a raccontare i punti di vista degli intervistati senza fornire alcun inquadramento storico, politico o scientifico.
Al di là della modestia dei film presentati tutti prodotti tra il 2008 e 2009 (con l'eccezione di When Night Is Fallig, Canada, 1995 di Patricia Rozema, un capolavoro delcinema lesbico girato in pellicola e qui presentato purtroppo in digitale...) un festival o una festa che dir si voglia, oltre a dare visibilità a dei film normalmente preclusi dal circuito commerciale, dovrebbe indurre il pubblico a riflettere su quanto visto, sui modelli comportamentali che questi film propongono, sul modo di affrontare problematiche e temi del mondo omosessuale; invece, forse per la volontà di organizzare una festa, si è preferito dare spazio esclusivo a momenti collaterali di musica e socialità con vari party nella hall del cinema o al Circolo degli Artisti, a discapito di momenti di approfondimento critico. Eppure ce ne sarebbe davvero bisogno non per altro per dirimere qualche confusione lessicale e non solo che è emersa nei tre giorni di festa. Nel documentario Ben ve Nuri Bala (Turchia, 2009) di Melisa Onel il protagonista, un uomo che si veste da donna, parla di sé indistintamente come di un gay, di un travestito o di un trans, tre parole diversissime che nessun gay, trans o travestito si sognerebbe mai di confondere...
D'altronde da queste confusioni non sono immuni nemmeno i curatori della festa se Fabio Bo nel presentare J’ai rêvé sous l’eau confonde identità di genere con orientamento sessuale presentando il protagonista bisessuale del film come un intersessuale (che è ben altra cosa) davanti a un pubblico impassibile (che non coglie l'errore o non se ne cura...).
Così come il pubblico non ha battuto ciglio quando Giovanni Minerba ha rimproverato, in maniera inopportuna e fuori luogo, la Provincia di Roma (presente l'assessore D'Elia) di avere finanziato tardivamente Queering, con la prosopopea di chi è abituato a ottenere finanziamenti pubblici da 25 anni (quanti sono gli anni del festival di Torino che dirige) dimenticando che nulla è dovuto e che comunque (come ha ricordato Massimo Iacobelli) senza la provincia Queering non ci sarebbe stato e, aggiungiamo noi, Minerba non stava lì a parlare...
Siamo tutti esseri umani d'altronde, abbiamo tutti lo stesso sangue, etero od omosessuali, trans o intersex, e sbagliare è quello che ci rende tutti più accettabili perchè ci fa più comuni.
Ma Queering è una festa giovane è c'è ancora amplissimo margine per le correzioni di tiro.
Intanto ci auguriamo di vederne presto una seconda edizione cosa che, dati i tempi bui in cui viviamo, non è affatto scontata.
Cinema